lunedì 19 gennaio 2009

Autocoscienza e paradossi logici, fritto misto di quantistica e logica in salsa goedeliana #1


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Avvertenza! Questo post può apparire noioso agli occhi di chi legge. Inoltre il rigore sarà sacrificato alla chiarezza dell'esposizione. Scrivo con il proponimento di presentare alcuni risultati fondamentali della fisica, della logica e della filosofia moderne e contemporanee, per giungere ad una speculazione sul problema della coscienza di sé e dei paradossi. Tirerò in ballo l'indeterminazione di Heisemberg, il secondo problema di Hilbert e lo straordinario risultato di Gödel, il paradosso di Cantor-Russell e la filosofia critica di Kant. Tutto ciò, insomma, che ha rivoluzionato la nostra maniera di intendere la conoscenza ed il mondo, al fine di riflettere sul problema della coscienza (autocoscienza), e dei paradossi logici.

Cos'è ciò che ci caratterizza come individui, e che ci rende differenti prima di tutto dagli oggetti inanimati, in secondo luogo dalle piante e dagli animali, ed infine dagli altri individui della specie umana? La maggior parte delle religioni ha chiamato la risposta a questa domanda "anima". Qualche religione, non potendo accettare che l'individuo cessi di essere, che ciascuno di noi muoia, ha attribuito all'anima l'immortalità. Ma "anima" rimane una risposta vuota, detta in questa maniera, e così rimane vuota se ci si affida ai testi rivelati, che nella loro apoditticità rimangono incomprensibili ed inutili.

Ciò che in realtà ci porta a riflettere e ad utilizzare il concetto di anima è quella che in psicologia e nel linguaggio comune si chiama coscienza, ovvero la "consapevolezza che l'uomo ha di sé, e del mondo che lo circonda". Ciascuno di noi è in grado di distinguersi in maniera sensibile dal resto del mondo esterno.

Proseguendo oltre in queste spinose questioni, è necessario considerare alcuni dei risultati della fisica contemporanea, ed in particolare la rinuncia al principio di realtà dell'interpretazione di Copenaghen, assieme al principio di indeterminazione di Heisemberg. Nella fisica quantistica, la fisica che studia l'infinitamente piccolo, il principio di indeterminazione di Heisemberg stabilisce che "non è possibile conoscere simultaneamente la qualità e la posizione di un'onda con certezza", ed inoltre quantifica anche l'incertezza. Ora io ho detto principio, ma in realtà esso è dimostrabile a partire dai postulati (principi), dunque sarebbe più corretto riferirsi ad esso come ad un teorema. Sia come sia, poiché le onde (particelle) sono i costituenti ultimi (o penultimi se si vuole credere alla teoria delle stringhe) della materia (e antimateria), e poiché ciò che noi chiamiamo reale è l'insieme di ciò che esiste, ovvero materia e antimateria, detto in maniera "filosofica" e poco rigorosa, il principio afferma che la natura, l'oggetto della scienza, non è conoscibile in maniera completa con certezza. Le nostre percezioni della realtà sono viziate dal fatto di essere appunto delle percezioni, che, se nella maniera classica sono state viste come passive, in questo caso assumono il ruolo attivo di modificazioni della realtà fisica. Ovvero, ogni qualvolta noi vogliamo percepire (misurare, essere coscienti) qualcosa, noi interveniamo attivamente nella natura modificandola irrimediabilmente, cosicchè non potremo mai sapere come essa era prima del nostro intervento. Di fronte a questa scoperta, ci si può chiedere allora se ha senso o no interrogarsi sullo stato dell'onda (particella) prima dell'intervento (misurazione). Detto in maniera "umanistica", se ha senso chiedersi com'è la realtà senza di noi che la osserviamo. L'interpretazione di Copenaghen, dovuta allo stesso Heisemberg ed a Nils Bohr, conviene che questa sia una di quelle numerose domande che non hanno senso. Riassumendo la posizione della fisica quantistica riguardo la realtà, il reale non solo non è completamente conoscibile, ma non ha nemmeno senso chiedersi cos'è indipendentemente dall'uomo che lo osserva. L'albero dell'immagine posta all'inizio di questo intervento, che sembra stare lì pacifico e solitario, incurante di chi lo osserva, in realtà smette di esistere quando si smette di osservarlo. Tutto ciò pare assurdo, lontano dall'esperienza di realtà oggettiva che abbiamo tutti i giorni, ed è il frutto della rinuncia al principio di realtà che aveva caratterizzato lo studio scientifico fino ad allora (1927). Per chiarificare ancora meglio questo aspetto, e renderlo coerente e familiare all'esperienza di ciascuno di noi, consideriamo i contatori di visite web, dei quali avete un esempio in fondo a questa pagina web. Ve ne sono alcuni che dichiarano il numero di visitatori online in quel momento. Escludendo la possibilità di malfunzionamenti, ovvero mettendoci nella posizione ideale che il contatore dirà sempre il vero, ha senso chiedersi se esista un contatore del genere che dichiari: "0 visitatori online". Secondo l'interpretazione di Copenaghen è insensato, e così appare anche al nostro buonsenso appunto. Poiché è inosservabile un contatore del genere, visto che se lo osservassimo saremmo visitatori online, e quindi direbbe il falso, cosa esclusa dall'assenza di malfunzionamenti, esso a tutti gli effetti non esiste. Dunque la fisica parrebbe ricondurre il reale alla coscienza, a congiungere quella che è la coscienza di sé con quella che è la coscienza del mondo esterno, che non è altro che un'estensione del sé attraverso la percezione (misurazione). Nulla di nuovo sotto il sole, visto che questo risultato fisico ci ricorda molto da vicino la rivoluzione copernicana di Kant, e le posizioni successive assunte dagli idealisti. Per dirla con Kant dunque, secondo Bohr ed Heisemberg, non ha senso interrogarsi sulla "cosa in sé". Precisando ulteriormente, la cosa in sé può anche essere, se pure abbia senso dire che é, ma non esiste, ovvero non è per noi. [to be continued...]

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