venerdì 18 dicembre 2015

Otto buoni principi di economia e una piccola storia



  1. I prezzi di mercato non sono arbitrari;
  2. Anche in condizioni di mercato, i costi sono sostenuti non soltanto in forma monetaria;
  3. Non sono mai "aziende", "governi", "mercati" e "società" a scegliere o agire; tutte le scelte e le azioni sono effettuate da individui in carne e ossa; (il fatto che gli individui siano spesso, o persino tipicamente, influenzati nelle loro scelte e azioni dalle opinioni di altri non sminuisce questo punto);
  4. le persone reagiscono agli incentivi;
  5. Tutti gli scambi (di mercato) volontari beneficiano tutti coloro che vi partecipano;
  6. Grandi profitti guadagnati nei mercati sono la prova che le aziende che li realizzano stanno provvedendo a servizi di maggior valore per l'umanità rispetto alle aziende che realizzano profitti minori;
  7. Non c'è bisogno che la concorrenza sia perfetta (poiché perfetto è un aggettivo definito in maniera bizzarra nell'economia mainstream) al fine di essere intensa e grandemente efficace;
  8. Pressoché nessun essere umano è inabile a produrre e fornire qualcosa di valore in cambio di qualcos'altro prodotto da altri esseri umani.

aggiungo io un nono punto, che non è tanto un principio quanto una semplice definizione:

9. Il mercato è un luogo dove si incontrano coloro che domandano un bene e coloro che lo offrono. Questo libero incontro produce uno scambio e di conseguenza un determinato prezzo.

Questi otto principi hanno un gran valore, ritengo, nel giudicare una grandissima parte della realtà e delle dinamiche economiche, ma anche episodi pressoché insignificanti di tutti i giorni, che però trovano nuove prospettive se inseriti in questo contesto generale.

Qualche giorno fa tornavo verso il parcheggio dove avevo lasciato l'automobile, e mi soffermai a guardare la seguente scena: un'anziana signora pisana voleva riempire una bottiglia d'acqua a una fontanella pubblica. Dunque appoggiò le borse della spesa su una panchina nei pressi, prese la bottiglia vuota, s'avvicinò alla fontana, aprì il rubinetto, poi stappò la bottiglia, la riempì, non chiuse la fontanella, tornò verso la panchina, tappò la bottiglia, la ripose nella sporta della spesa, tornò poi alla fontanella e la chiuse. Ora è chiaro che una sequenza di azioni più efficiente (nel senso della riduzione dello spreco dell'acqua) sarebbe stata quella di aprire il rubinetto solo dopo aver pronta la bottiglia da riempire, chiuderlo prima d'aver richiuso la bottiglia, e successivamente ridirigersi alla panchina e riporre il tutto. 

4. Le persone reagiscono agli incentivi. La prima sequenza di azioni, che ha prodotto uno spreco, era evidentemente per la signora più comoda della seconda, che pure non avrebbe prodotto spreco d'acqua. Nella scelta realizzata in quel momento la prima sequenza di azioni aveva a suo favore più incentivi che la seconda.

1. I prezzi di mercato non sono arbitrari. Ci bombardano tutti i giorni con discorsi su quanto sia preziosa l'acqua potabile, e immagino debba esser vero. Se dunque l'acqua è così preziosa, come mai ne sprechiamo così tanta? L'acqua della fontana pubblica è "gratuita", nel senso che apparentemente non si paga per utilizzarla. In realtà essa costa in termini di mantenimento delle infrastrutture che servono a portarla dalla fonte all'utenza, renderla potabile e sicura eccetera. Si può tranquillamente assumere che queste infrastrutture abbiano un costo almeno in parte proporzionale alla quantità di acqua utilizzata, dunque si può associare a quella quantità di acqua sprecata un certo costo. Eppure, riprendendo le parole di Bastiat, ciò che si vede del prezzo è 0. Naturalmente tutti noi paghiamo per quello spreco con la fiscalità generale, o con altre forme di tassazione. In ogni caso, non essendo in condizioni di mercato, in questo caso il prezzo è arbitrario, ed è arbitrariamente fissato a 0 qualunque siano i costi marginali.

Dunque per impedire questo spreco, se si chiedesse a uno statalista, probabilmente la prima proposta che avanzerebbe sarebbe quella di emanare una legge che vieta lo spreco di acqua e commina le opportune sanzioni. Questo certo fornirebbe un certo incentivo all'anziana signora, ma solo nel caso in cui ci si trovasse nelle reali condizioni di poter far rispettare la legge. Si potrebbe dunque dotare ogni utenza di un apposito burocrate (vigile, insomma) che controlli e faccia rispettare la legge. La baracca ci costerebbe così tanto più di quanto risparmieremmo nello spreco, che nessuno sciroccato, per ora, ha mai proposto una cosa del genere.

Quale altra possibilità abbiamo? Se il mercato dell'acqua fosse libero, per definizione stessa, esso determinerebbe un prezzo tale da bilanciare il costo di erogazione del servizio. Sì, certo, probabilmente sarebbe un mercato poco competitivo, ma ci sono mille maniere per ovviare al prezzo monopolistico (incentive regulations, per esempio). Tornando ai principi, un prezzo di mercato non completamente arbitrario, ma almeno parzialmente determinato dalle condizioni e dai costi marginali, avrebbe probabilmente provveduto a un incentivo sufficiente per evitare quello spreco, contribuendo in questa maniera alla ricchezza di tutti (ridurre gli sprechi vuol dire investire le risorse nella produzione di ricchezza reale, ovvero servizi di reale valore - 6. Grandi profitti guadagnati nei mercati sono la prova che le aziende che li realizzano stanno provvedendo a servizi di maggior valore per l'umanità rispetto alle aziende che realizzano profitti minori)

Un'altra classica (ma anche ridicola) obiezione è quella della garanzia dei servizi essenziali anche per coloro che non potrebbero permetterseli a pagamento. Un classico esempio di redistribuzione del reddito. Tralasciando il dibattito sulla giustezza della redistribuzione forzosa della ricchezza come principio (8. Pressoché nessun essere umano è inabile a produrre e fornire qualcosa di valore in cambio di qualcos'altro prodotto da altri esseri umani.), rimane il fatto che, in questo caso, non si tratta nemmeno di quello: uno "stupido riccastro liberale" (cit.) ha lo stesso accesso di chiunque altro a quella stessa fonte, e magari la sua acqua gliel'ha pagata un povero sindacalista della FIOM.

Sullo stesso argomento mi torna in mente l'enorme polemica sulla questione delle prescrizioni delle prestazioni mediche (decreto sull'appropriatezza prescrittiva), ma si potrebbero citare mille altri casi. Purtroppo quando lo spreco non è immediatamente visibile, trascuriamo di considerarlo con il dovuto valore: se ordino 3 primi e 3 secondi al ristorante, e di questi mangio solo un piatto per portata, e gli altri due li butto, è semplice individuare lo spreco e valutarlo nella sua immoralità. Se invece mi faccio prescrivere un esame che si rivela inutile, lo spreco è forse ancora più costoso, ma non è immediatamente riconoscibile come tale. Immaginate tutte le risorse spese per l'acquisto di macchinari di diagnosi, e considerate che quelle enormi risorse potrebbero essere utilizzate per contribuire davvero efficacemente al miglioramento del servizio sanitario, o lasciate alla libertà di utilizzo dei privati cittadini (magari in quel momento qualcuno aveva bisogno di cambiare l'automobile, e invece con quella ricchezza è stato costretto a comprare ancora un altro tomografo computerizzato). Tutto ciò non avviene perché il prezzo di queste risorse costose è arbitrariamente fissato dallo Stato, che con l'altra mano lo estorce ai cittadini e lo paga.

Dunque il bel risultato di ciò che falsamente appare come gratuito (sanità, scuola, acqua...) è quello che, poiché non v'è alcun incentivo a non evitare lo spreco, questo avviene e in grandi quantità. E quando c'è spreco di risorse, stiamo tutti peggio, perché quelle risorse sprecate non contribuiscono alla ricchezza di nessuno.

Concludo con due suggerimenti:
1. allenatevi a vedere e riconoscere gli sprechi, i costi a loro associati, e ogni volta pensate che quella ricchezza bruciata fa stare un po' peggio tutti, i ricchi, ma soprattutto i poveri.
2. quando qualcuno vi dice che un servizio è gratuito, allertate il vostro senso critico, nella consapevolezza che tutto ha un costo, e più esso è nascosto e meno lo controlliamo.