lunedì 19 gennaio 2009

Autocoscienza e paradossi logici, fritto misto di quantistica e logica in salsa goedeliana #2


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Avvertenza! Questo post può apparire noioso agli occhi di chi legge. Inoltre il rigore sarà sacrificato alla chiarezza dell'esposizione. Scrivo con il proponimento di presentare alcuni risultati fondamentali della fisica, della logica e della filosofia moderne e contemporanee, per giungere ad una speculazione sul problema della coscienza di sé e dei paradossi. Tirerò in ballo l'indeterminazione di Heisemberg, il secondo problema di Hilbert e lo straordinario risultato di Gödel, il paradosso di Cantor-Russell e la filosofia critica di Kant. Tutto ciò, insomma, che ha rivoluzionato la nostra maniera di intendere la conoscenza ed il mondo, al fine di riflettere sul problema della coscienza (autocoscienza), e dei paradossi logici.

Il post precedente mi è servito per questa coraggiosa assunzione, che mi tornerà utile in seguito:

Assumo che coscienza, autocoscienza e mondo siano la stessa cosa.

Utilizzerò dunque i significanti indifferentemente per indicare l'unico significato derivato dall'interpretazione di Copenaghen. Detto questo immergiamoci nel bel mondo dell'insiemistica, mondo che dobbiamo a Georg Ferdinand Ludwig Philipp Cantor, un tedesco nato in Russia e considerato il padre dell'insiemistica. Mi sarà utile richiamare uno dei principi che furono fondanti dell'insiemistica di Cantor, e che fu messo in crisi dal paradosso di Cantor (del quale il paradosso di Russel è un caso particolare, ma non starò a dimostrarlo). Il principio di cui parlo è un principio all'apparenza ragionevolissimo, e si chiama principio di astrazione, che detto in maniera matematica (metamatematica, ma sui metalinguaggi tornerò poi) suona:

x appartiene all'insieme dei P se e solo se x è un P

Per dirlo in parole povere, che però evidenziano la semantica del principio, si può tradurre nell'affermazione che:

ogni "riunione in un tutto" è un insieme [1]

Cioè a dire, ancora per essere più chiari, che si può fare un insieme di qualsiasi cosa. Questo principio sembra ragionevole, ma vedremo in seguito come sarà il responsabile del paradosso, e che bisognerà abbandonarlo. Aggiungo che mi saranno utili al discorso le nozioni potenza di un insieme, cardinalità di un insieme ed il teorema di Cantor. Andando con ordine, di un insieme qualsiasi A si può definire la sua potenza P(A) come l'insieme dei sottoinsiemi di A stesso. La nozione di cardinalità passa dalla nozione di equipotenza di due insiemi: essi sono equipotenti se è possibile porre in corrispondenza biunivoca i loro elementi. Ovvero, detto in maniera bovina, se hanno lo stesso numero di elementi. Una classe di insiemi equipotenti ha una cardinalità che è appunto il numero di elementi della classe di insiemi detta. A questo punto è anche intuitivo capire come gli insiemi si possano ordinare secondo le loro cardinalità e dire ad esempio che A>B se la cardinalità di A è maggiore di quella di B. Per essere chiari, sarebbe strano dire che un gregge di pecore è maggiore di uno di buoi, ma si può dire che la cardinalità del gregge di pecore (il numero delle pecore presenti nell'insieme gregge), è maggiore della cardinalità dell'insieme dei buoi. Infine il teorema di Cantor, tramite un procedimento piuttosto semplice che però non esplicito, dimostra che P(A)>A, ovvero che l'insieme potenza di A è di cardinalità maggiore dell'insieme A. A questo punto entra in gioco la verità, ovvero l'insieme "verum" V, definito come quell'insieme i cui elementi sono uguali a sé stessi, per esempio. Vale a dire, facendo un bel balzo nel "reale", l'insieme dell'esistente, il mondo, l'autocoscienza. L'insieme che contiene tutte le cose. Una specie di Dio (immanente? vedremo) dell'insiemistica. Il paradosso di Cantor diventa: P(V)>V (per il teorema di Cantor), ma nulla può avere cardinalità maggiore di V, essendo V per definizione l'insieme a cardinalità massima, "l'ultimo infinito". Di fronte a questo bel paradosso che scosse le fondamenta della matematica dei primi del novecento e le belle speranze di Russell e Frege, che volevano fondare l'aritmetica sull'insiemistica, e tramite questa, sulla logica, Cantor non si mostrò sorpreso, essendo consapevole che quando ci si trova di fronte a V, la ragione capitola. Per fortuna la rassegnazione di Cantor non fu condivisa da chi seguì. [to be continued...]

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