mercoledì 12 agosto 2009

Ateismo - Frequently Asked Questions

Molto spesso sento parlare a sproposito dell'ateismo, anche da uomini che dovrebbero essere istruiti, se non altro sull'argomento. Mi riferisco ad esempio alle numerose dichiarazioni del Pontefice, e delle sue appendici pastorali, ma anche di esponenti di ogni sorta della società civile con i quali mi trovo alle volte a discutere. Per rimanere nello specifico, ad esempio, il signor Ravasi, detto monsignore, ha parlato di "idolatria" e di "indifferenza, di superficialità, di banalità: è quasi una sorta di ‘gioco di società’ il negare Dio". Addirittura un tale psichiatra intervenuto su Avvenire ha distinto i "non credenti" dagli atei, affermando che questi ultimi, a differenza dei non credenti che aspettano una qualche esperienza diretta con l'aldilà, sarebbero "contro" Dio.

Per questo motivo sarà forse utile sgomberare il campo con una serie di risposte alle domande più frequenti che vengono rivolte ad un ateo, così che io abbia un riferimento costante nel futuro, e risparmi un po' di fatica.

Cosa significa "ateo"?

Ateo deriva dal termine greco àtheos, composto di alfa privativa e thèos, Dio. Dunque colui che nega l'esistenza di Dio.

Dunque l'ateo ha bisogno di Dio per negarlo? Il termine non ha una connotazione negativa?
E' vero, il termine non ha una connotazione positiva. Tutto ciò è dovuto ad una tradizione religiosa della quale la lingua risente. Questo però non significa affatto che non esista un sistema morale positivo improntato all'ateismo. Proprio questo motivo ha condotto alcuni umanisti e razionalisti a costituire un movimento, "The Brights", che mira ad introdurre il termine "Bright" per caratterizzare chi si riconosce in una visione del mondo naturalistica, libera da qualsiasi elemento superstizioso e sovrannaturale.

In ogni caso, l'ateismo non rimane comunque una fede?

La fede è la credenza in qualcosa in assenza di prove. Non la non credenza. Il razionalismo, che conduce all'ateismo, rigetta la fede come valore morale, ed è dunque l'antitesi stessa al metodo fideistico. L'ateo, il razionalista, agisce secondo e propone un metodo per giudicare la realtà che lo circonda: credere soltanto ciò che è ragionevole sulla base dell'esperienza, e conservare il dubbio. Non credere in assenza di prove. Rivedere le proprie convinzioni se esistono nuovi elementi che le mettano in crisi.

Cosa c'è di sbagliato nella fede?

Come ho detto, avere fede significa "il credere in determinati concetti o assunti basandosi sull’autorità altrui o su una convinzione personale più che su prove obiettive" (De Mauro). In questo caso significa basarsi sul "sentito dire" oppure riporre fiducia cieca in uno sconosciuto. Chi considererebbe virtù della vita quotidiana queste caratteristiche? Se una madre affidasse suo figlio ad un passante, avendo fede che lo tratterà bene, non la dovremmo giudicare incapace di allevare suo figlio? Un giornalista che scrive un articolo sulla base di una sua convinzione personale non suffragata da alcuna prova, senza verificare i fatti proposti, sarebbe un buon giornalista? Eppure accettiamo senza problemi la fede religiosa come virtù, addirittura una virtù teologale, assieme a carità e speranza. Si dice anche che la fede religiosa va rispettata. Eppure non consideriamo rispettabile un fedele islamico convinto che uccidere i pagani lo condurrà a godere di vergini nell'aldilà, o di grappoli d'uva a seconda della traduzione. Questo c'è di sbagliato nella fede, che è intrinsecamente integralista e aliena al confronto. Di fronte all'esperienza, ai fatti, il fedele non muta opinioni. Potremmo affermare che la tolleranza liberale esiste nonostante la fede.

Mettiamo da parte la fede, come la mettiamo con i miracoli?Anche qui, bisogna ricorrere al metodo razionale, e giudicare sulla base dei fatti. I grandi miracoli, quelli da cento punti direbbe Troisi, risalgono indietro nella storia fino a perdersi nella leggenda. Non possono essere considerate certo prove le testimonianze di parte delle sacre scritture, così piene di incongruenze da essere fonte inaffidabile persino per eventi storici altrimenti certi, come la successione dei governatori romani, e via di seguito. Di contro, i "miracoli" recenti sono assai poco spettacolari e verificabili. Sarebbe davvero clamoroso veder ricrescere un arto ad un amputato, invece, guarda caso, troviamo soltanto miracoli da "cinquanta punti", tutti facilmente falsificabili. Inoltre, di fronte a eventi inspiegabili, l'atteggiamento del credente, che si contenta di attribuire a Dio l'opera miracolosa, non giova al progresso della conoscenza, che richiede invece uno sforzo investigativo atto a scovare o modificare le leggi naturali che regolano il fenomeno inspiegabile. Pensate ad esempio alle malattie. Se si credesse all'origine soprannaturale dei mali, sarebbe del tutto inutile fare della ricerca medica che scopra le reali naturali motivazioni di una malattia, e saremmo condannati tutti a morire di influenza o di polmonite per causa di Dio.

Le prove saranno insufficienti, ma se Dio esistesse veramente non sarebbe meglio credere per precauzione?
il famoso argomento di Pascal può avere una serie di risposte differenti. La prima, quella più "umanistica", è riassunta dalla citazione di Flores D'Arcais che compare anche nella colonna di destra del blog: "
Dobbiamo prendere sul serio Pascal, e scommettere sulla finitezza. Non ci sarà mai dato un dopo, infatti, nel quale scoprire che abbiamo una vita sola. Possiamo viverla così oggi, o mai più. Alienazione è il rifiuto di accettare la nostra condizione di finitezza". Si può infatti ribaltare la scommessa, e pensare dunque che se la vita fosse davvero solo questa, sprecarla sarebbe il peggior evento che si potesse verificare.

La seconda risposta è che l'ipocrisia di credere per scommessa, al fine di ottenere il massimo risultato, sarebbe un peccato ancor più grave che non credere. La terza risposta, la più ovvia, è che non si può "decidere" di credere, se non si crede. Se si fa finta, supposto un Dio onnisciente, Egli se ne accorgerà, e dunque saremmo comunque dannati.

Eppure molti filosofi hanno dato delle dimostrazioni ontologiche dell'esistenza di Dio. Anche quelle sono errate?

Le dimostrazioni ontologiche dell'esistenza di Dio sono tutte dimostrazioni a priori, che fallano in una qualche parte delle loro inferenze, o definizioni. In generale c'è sempre da fidarsi poco di ragionamenti che dimostrino qualcosa di fisico senza ricorrere a nessun dato empirico. Prendiamo per tutte la dimostrazione di Anselmo d'Aosta, che sembrò quella più convincente.
Ora noi crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi più grande. [...] E questo ente esiste in modo così vero che non può neppure essere pensato non esistente. Infatti si può pensare che esista qualche cosa che non può essere pensato non esistente; e questo è maggiore di ciò che può essere pensato non esistente. Onde se ciò di cui non si può pensare il maggiore può essere pensato non esistente, esso non sarà più ciò di cui non si può pensare il maggiore, il che è contraddittorio. Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste in modo così vero, che non può neppure essere pensato non esistente.
Detto in parole povere, siccome riusciamo a pensare Dio, e l'esistenza è meglio della non esistenza, allora Dio esiste. La prima obiezione a questo "ragionamento" arrivò da Kant, che fece notare come non è per nulla scontato che l'esistenza debba essere "maggiore" della non esistenza. L'obiezione più immediata che invece viene in mente è che non tutto ciò che si pensa esiste per il solo fatto che si riesce a pensarlo. In particolare Dio è l'estremizzazione dell'uomo: come ci fa notare la Bibbia, l'uomo fece Dio a sua immagine e somiglianza.

Possibile che miliardi di credenti in tutto il mondo si sbaglino?

Possibilissimo. In particolare alcuni biologi ci hanno fatto notare che ci siamo evoluti per essere tendenzialmente creduloni. La religione è un "effetto collaterale" di questa necessità evolutiva, che prediligeva la creduloneria allo scetticismo. Questo perché era sempre meglio credere che ci fosse una tigre, anche quando era magari solo il vento, e così salvarsi in ogni caso.

Se si può concordare che non esistano prove dell'esistenza di Dio, non si può nemmeno provare la sua inesistenza. Non è razionale dunque dichiararsi agnostici?

L'equivoco nasce dal fatto che si considera una "simmetria" fra l'assenza e la presenza di prove. Ma non è così. E' invece ragionevole comportarsi in maniera da negare tutto ciò che non è stato provato, o che comunque sia in una qualche misura probabile in base alle prove in possesso. A questo proposito torna utile il paradosso della teiera di Russel: immaginiamo che esista una teiera orbitante fra Marte e Giove, troppo piccola per essere rilevata da qualsiasi strumento esistente. L'agnostico dovrebbe dire: "mi dichiaro agnostico riguardo la teiera orbitante", ma sarebbe molto più ragionevole dire che la teiera non esiste, a meno di prove contrarie. Ancora, perché l'agnostico non si dichiara tale anche di fronte al Mostro volante di spaghetti? Non ci sono prove della sua inesistenza, e nemmeno dell'inesistenza degli unicorni rosa a propulsione nucleare. O delle Winx, per la gioia delle bambine. O di Babbo Natale, che è già più probabile di Dio. Chi ha il coraggio di dichiararsi agnostico sulle Winx, o su Santa?

Dichiararsi agnostici è ancor più irragionevole che dichiararsi credenti, dal momento che si può supporre che il credente, e molti l'affermano, abbia avuto una qualche esperienza diretta con Dio, sebbene sia logico credere che abbia frainteso (l'utilizzo di droghe, privazioni corporali o carenza d'ossigeno di molte religioni è un indizio forte).

Senza Dio, che motivo ci sarebbe per essere buoni? Lo diceva anche Dostoevskij...
La leggenda degli atei cattivi poggia su alcune falsità e fraintendimenti che periodicamente vengono spacciati dal Santo Padre e i suoi accoliti, per dimostrare l'incontrovertibile verità, secondo loro, che Dio sia l'unica e sola origine della moralità. Se invece guardiamo ai fatti, potremmo portare alcuni dati all'attenzione dei religiosi:
  • secondo alcuni test condotti su un campione di persone sia religiose che atee, non esiste alcuna differenza in ciò che si ritiene giusto o sbagliato.
  • le nazioni più religiose sono anche quelle più arretrate e violente.
  • se Dio fosse l'unico motivo per comportarsi bene, allora tutti coloro che lo credono se Dio non ci fosse sarebbero degli stupratori assassini o peggio. Potremmo dire, avrebbero bisogno di più polizia, non di più Dio. Ridurre Dio ad un poliziotto è un po' squallido.
  • se prendessimo la Bibbia come fonte di ispirazione per la nostra moralità, troveremmo morali molte cose turpi, come il genocidio, la guerra religiosa, lo stupro dei propri figli, l'assassinio dei propri figli, e molte altre cose. Per fortuna non lo facciamo.
Infine, viene ribadito, soprattutto da Ratzinger, che i regimi più tremendi del Novecento, il nazismo e lo stalinismo, abbiano tratto la loro malvagità dal loro ateismo.

Il fatto che Hitler fosse credente o no è controverso. Ebbe momenti di fervido cristianesimo, come momenti di odio per la religione ufficiale (mai si pronunciò contro Cristo o Dio in quanto tali). E' però falso far passare la Germania come una nazione in mano ad un manipolo di atei manigoldi, ed è più corretto riferirsi ad essa come una nazione assai religiosa, nella quale la Chiesa giocò un ruolo importante per l'affermarsi del nazismo, come in Italia per il fascismo, d'altronde. Sembra che l'ossessione di Ratzinger per il "nazismo ateo" abbia più a che fare con i suoi trascorsi che con una vera storicità.

Per quanto riguarda Stalin, è certo che egli fosse ateo. E' altrettanto vero però che la "fede" nel comunismo dei suoi "adoratori" non discosta molto dalla fede religiosa, come testimoniano alcuni scritti agiografici, e le numerose immagini votive del dittatore sparse in ogni pubblico luogo.

Infine, esiste una morale laica, che non trae origine divina, ma parte da considerazioni di carattere etico, di ottima convivenza civile. Basti pensare alla tolleranza, di origine illuministica, o al senso della privacy, della privatezza, che le religioni non contemplano.

lunedì 10 agosto 2009

I giochi di carte mi garbano...

Una società danese, la Dema Games, ha recentemente lanciato un gioco di carte assai originale e interessante che ha fatto infuriare la Chiesa ed in particolare l'Opus Dei. Infatti il gioco si chiama "Opus-Dei: existence after religion". L'ambientazione è un futuro senza religione, i giocatori, che rappresentano "Zeitgeist" rivali, devono sfidarsi a colpi di razionalità per costruire un mondo etico, morale e significativo.
All'Opus Dei, che non è marchio registrato in Danimarca, la cosa non è andata giù.

Il gioco è acquistabile online, e credo proprio che spenderò il ragionevolissimo prezzo di 27 euro (compresa spedizione).

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