Gli argomenti sui quali scrivo in genere sono "laterali" all'attualità, nel senso che la cronaca, e le reazioni della mia cerchia di conoscenze alla stessa, mi suggeriscono delle sensazioni di conflitto, le quali si traducono poi nello stimolo ad approfondire il conflitto: capito il nocciolo della questione, che in genere riguarda un attrito fra gli accadimenti e il mio sistema di valori, ne scrivo poi sul blog. In alcuni casi ho le idee chiare immediatamente dopo aver classificato questo "conflitto", in altri casi devo approfondire alcune questioni sulle quali scopro di essere poco ferrato. In genere è un processo fruttuoso, che mi porta a letture inconsuete e produttive, ma immagino sia più o meno lo stesso per tutti quelli che hanno una vita intellettualmente attiva. La vanità di scrivere su un blog in fondo è un ottimo incentivo.
Tutta questa interessantissima premessa, e poi scrivo della Grecia? Avendo investito qualche minimo capitale in titoli - perlopiù bancari - la mia egoistissima attenzione fino a che non ho chiuso le posizioni in borsa si rivolgeva con fastidio alle bizze di Tsipras e Varoufakis, che si traducevano in imprevedibili sussulti dei mercati azionari e di converso del mio portafoglio. Dopo l'escalation però, e non avendo più interessi diretti in merito, m'è rimasto un senso di fastidio generale nel leggere del dibattito fra filo e xeno ellenici. Ecco che s'era innescato il meccanismo che mi porta a scrivere sul blog.
Poi, per scrivere sulla questione, mi son detto: bisognerà approfondire, e mi son messo a cercare dei dati oggettivi sulle performance economiche della Grecia, sullo stato economico e finanziario, e sulle riforme fatte. Bisognava verificassi la vulgata che afferma che l'austerity imposta dalla troika ha distrutto l'economia ellenica. Non ci sono riuscito. Mi è tornato in mente il fatto curioso che il data journalist è considerato uno specialista nel giornalismo, come se normalmente si potesse fare a meno dei dati. Non sono riuscito a trovare un articolo, un'analisi, con dei dati sistematici. Quando va bene si trovano delle articolesse che per sostenere un punto screenshottano qualche tabella e qualche grafico aggregato, che è spesso in palese contraddizione con qualche altra articolessa che sostiene il contrario, e via di seguito.
Per tagliare il capo al toro, fissiamo dunque alcuni ragionevoli punti:
- la spesa pubblica greca negli anni dell'euro e in quelli precedenti è stata eccessiva, generando un debito che è diventato insostenibile
- il sistema economico greco non è competitivo, tant'è che non cresce e non genera sufficiente ricchezza
- dire che le politiche della troika sono fallite utilizza la fallacia del post hoc ergo propter hoc: non sappiamo come sarebbero andate le cose altrimenti. Inoltre le politiche le ha attuate il governo greco liberamente eletto, e dunque ai greci rimane la responsabilità delle scelte fatte.
- Gli interessi sulle obbligazioni elleniche erano altissimi, e dunque chi ha prestato soldi sapeva benissimo a quali rischi andava incontro, ciò nonostante confidando nello scudo gentilmente messo a disposizione da noi contributori europei.
Tornando al nocciolo della questione, la causa del mio fastidio circa il dibattito attuale è questa: avevo di recente affrontato, dal punto di vista professionale, la questione della giusta remunerazione del capitale di fronte a un investimento. Partiamo dalle basi: le persone fanno scelte consapevoli in presenza di risorse limitate. Questo è un mantra, anzi IL mantra, dell'economia. Questa enunciazione peraltro include una certo valore morale, che è strettamente connesso al valore della libertà individuale e della proprietà privata.
Per esemplificare, e per arrivare al punto, questo si traduce nel concetto di costo opportunità: se ho un'ora da investire, e ho la possibilità di impiegarla nel fabbricare un oggetto A che mi porta a 100€ di profitto, o un oggetto B che mi porta a 120€ di profitto, e scelgo di fabbricare l'oggetto A, in termini contabili posso dire di aver guadagnato 100€, ma in termini economici ho perso 20€! Dunque avendo risorse limitate, farò la scelta consapevole di fabbricare piuttosto l'oggetto B.
Il punto è che c'è una dimensione morale nel rendimento atteso da un investimento e nel rischio associato. Quando un titolo di Stato rende così tanto, il rischio correlato deve essere reale. Se all'investimento si sottende un "tanto alla fine l'Europa interverrà", e il rischio percepito non corrisponde a quello pagato, ecco che il patto non funziona più, il mercato è corrotto, e la remunerazione è immorale. Fatemi essere ancora più esplicito: chi ha speculato sul debito greco guadagnandone interessi cospicui, di fatto con la complicità dei governi europei ha rubato ricchezza a noi cittadini europei, che siamo stati costretti a finanziare questo abominevole accordo fra speculatori e governi. Questo tipo di meccanismi, questo inquinamento del libero mercato, genera poi le storture che ci troviamo a fronteggiare, e il paradosso è che si addita il vituperato neoturboliberismo, quando la causa è esattamente opposta!
Inoltre non sta ai creditori impartire le linee guida per il governo del loro capitale: a loro sta esclusivamente la decisione se prestarlo alla Grecia o impiegarlo altrimenti. Il lavoro degli investitori è questo, il lavoro degli amministratori è amministrare il capitale per restituirlo con gli adeguati interessi. Il popolo greco ha scelto un governo, in maniera democratica. Sta a questo governo la responsabilità delle scelte, e non deve avere l'alibi di scaricare i suoi fallimenti su organismi esterni, come la troika, il fondo monetario, l'europa, o gli Dei. Dunque se gli investitori ritengono che non ci siano più le condizioni per prestare capitale alla Grecia, a fronte delle prospettive presentate dal nuovo governo greco, così sia.
Le conseguenze del default greco non saranno lievi: per rimanere nel nostro piccolo giardino noi italiani ci troveremo a pagare degli interessi sul debito molto più alti, che io spero fronteggeremo tagliando la spesa pubblica e non aumentando ulteriormente la pressione fiscale, ma so che sarà speranza vana. Il default greco genererà instabilità politica, spinte populiste anti-euro, ulteriori ostacoli alla crescita dell'eurozona e alla ripresa economica. Non ho nemmeno quell'ottimismo che fa sperare che si possano rivedere i meccanismi dell'Unione Europea, per far sì che si diventi davvero un player forte nell'economia di mercato.
Le conseguenze per la Grecia stessa saranno pesantissime. Senza capitali Tsipras non potrà più fare il capo-popolo e dovrà fare delle scelte difficilissime, che metteranno a rischio la tenuta stessa della democrazia in quell'area.
Ciò nonostante, è importante e giusto che la Grecia sia lasciata fallire, per ristabilire quel patto morale fra investitori e amministratori: a ogni remunerazione di capitale corrisponda il rischio adeguato che quel capitale possa essere perduto. E che chi amministra sia messo di fronte alle sue responsabilità senza alibi. Non è più il tempo dello statalismo, delle economie pianificate dalla politica. E' tempo che anche l'Europa si apra al mercato e, di conseguenza, alla libertà.