venerdì 1 aprile 2016

L'equivoco ambientalista

"It's the worst thing that could happen to our planet" - Jeremy Rifkin
Il duello fra ambientalisti e progressisti(?) infuria, in particolare in Italia e in questi giorni. Convivono il dibattito circa il quesito referendario sui rinnovi per l'estrazione di combustibile fossile con gli scontri, tra il cruento e il circense, tra vegani e Cruciani, con i primi che vorrebbero sopprimere tutti coloro che mangiano carne in nome della pietà e il rispetto per ogni forma di vita (intravedo una contraddizione), e l'ultimo che tenta l'esorcismo a colpi di salame.

Tornando però alla questione referendaria, chi voterà Sì, voterà per il divieto di rinnovare tutte le concessioni di estrazione a piattaforme già esistenti e funzionanti entro le 12 miglia dalla costa alla loro scadenza. Le ragioni per votare no, o non votare, mi paiono lapalissiane, per cui elencherò quelle stiracchiate (ma solo quelle pertinenti, e non i deliri) che producono i promotori del Sì;

  1. Votando sì si darebbe un "segnale" politico: l'approvvigionamento dei combustibili fossili deve finire il più velocemente possibile, perché il pianeta sta soffrendo ed è ormai già troppo tardi per rimediare, figuriamoci per rimandare ancora.
  2. La percentuale di fabbisogno interno di gas e petrolio coperta dall'estrazione è così bassa che è irragionevole continuare a rischiare un disastro ambientale quando se ne potrebbe facilmente fare a meno.
E' chiaro che entrambi i punti sono piuttosto semplici da contro-argomentare. Circa il primo sono sufficienti degli argomenti tecnologici, per così dire. Circa il secondo, basterebbe possedere quattro nozioni basilari di economia (risorse scarse, costo-opportunità...). Però è su questi argomenti che si annoda il dibattito politico, circa il referendum in questione, e più in generale su argomenti e contestazioni più disparate, ma sempre della stessa specie, si articola il dibattito pubblico sull'ambiente. 

Questo dibattito non mi appassiona, perché a mio parere rimane un equivoco in principio, ovvero: cosa vuol dire ambientalismo? In senso generale lo si potrebbe definire come quell'attivismo proprio di chi vuole migliorare l'ambiente in cui egli vive, sia quello prossimo che quello che potrebbe avere influenza sulla sua vita, e quindi in definitiva il pianeta. Alcuni discorsi ambientalisti possono essere già validi per orizzonti che vadano oltre il pianeta (ad esempio l'inquinamento da satelliti artificiali nella bassa orbita terrestre). Va sottolineato che in questa definizione rimane implicito, ma fondamentale, il rapporto, o la sfida, fra l'uomo e la natura (cit.). Il miglioramento dell'ambiente si intende in relazione alla funzione che esso ha per l'uomo, al contributo che l'ambiente può dare all'uomo e alla sua felicità. Questa è una posizione ambientalista del tutto razionale. 

In realtà però gli ambientalisti oggi, tutti coloro che sostengono posizioni irrazionali circa le scelte ambientaliste che la politica dovrebbe perseguire, non sono ambientalisti nel senso detto, ed è solo così che si spiegano le loro tesi contraddittorie. La citazione all'inizio del post di Rifkin si riferiva alla notizia di possibili passi avanti nella fusione nucleare fredda, una tecnologia che garantirà energia praticamente illimitata e pulita per l'uomo. Mentre per un umanista o progressista questa sarebbe una notizia meravigliosa, per gli ambientalisti che ci ritroviamo sarebbe un disastro. Essi non vogliono sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Anelano invece a un pianeta popolato da una manciata di individui, possibilmente tutti della loro opinione, vegani, che vivano in maniera ascetica, che rinuncino a qualsiasi pretesa di dominio sulla natura, e piuttosto si facciano dominare da essa come nel paleolitico. Ogni progresso tecnologico è per loro una sconfitta, e di conseguenza ogni dibattito circa questi argomenti, condotto da tali distanti prospettive, obiettivi e valori, è sterile.

Voglio citare, a poca distanza dall'anniversario della sua nascita, uno dei più grandi, o forse il più grande, nella Storia dell'Umanità. Un ambientalista anch'egli, Norman Borlaug, premio Nobel per la pace nel 1970, e padre della Rivoluzione Verde. Questo personaggio straordinario ha lavorato prima in Messico, poi in India e Pakistan, e solo molto più tardi in alcune regioni dell'Africa, per migliorare drasticamente la produttività del frumento e di alcuni altri cereali. Ogni volta è riuscito, salvando vite umane nell'ordine del miliardo dalla fame e dalla morte per inedia. Lo cito in conclusione perché i suoi più agguerriti oppositori, quando tentò di esportare la sua rivoluzione verde in alcune regioni dell'Africa, furono proprio i movimenti ambientalisti. 

Per questi, che scrivono al caldo dalle loro belle scrivanie, sotto una luce artificiale, utilizzando spesso internet per alimentare le loro strampalate teorie, il fine è tornare al paleolitico, regredire fino allo stato selvaggio, del buon selvaggio, e curare il pianeta dall'infestazione umana (eppure pochi dànno il buon esempio). Chiarito questo equivoco, tutte le infinite e contorte discussioni che rimangono paiono rumore di fondo.

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